#Focus – Viaggiare. Anatomia imprecisa e confusa di un viaggiatore seriale

Viaggio è sempre una metafora. Serve a capire chi siamo, dove andiamo, da dove siamo partiti. Il viaggio non è una destinazione, è un modo di essere. Ecco perché.
Paolo Marcesini

Lo confesso, ho viaggiato molto,
dentro un’idea,
le nuvole,
mettendo la sveglia per l’alba e aspettando il tramonto
immerso in un paradosso,
un progetto,
l’attesa,
la scrittura,
l’utopia (una qualsiasi),
una storia d’amore,
l’avventura meravigliosa di avere dei figli,
l’affetto incondizionato dei genitori,
una strada sbagliata,
la voglia di andare avanti,
una certa dose di talento,
il primo giorno di scuola,
il primo giorno al liceo,
il primo giorno all’università,
la disillusione,
un’idea sbagliata,
una buona idea,
l’entusiasmo per le piccole cose,
lo sconforto per le piccole sconfitte
le pagine di tanti, troppi libri,
le parole di tante, troppe canzoni,
le immagini di tanti, troppi, film,
le visioni di tante, troppe mostre,
in coda per ore per i biglietti di un concerto,
dietro un pallone perché tutti corriamo dietro un pallone,
impugnando una racchetta da ping pong e una da tennis,
cercando di fare canestro,
scegliendo sempre i rossi per giocare a biliardino,
correndo più veloce che si può,
dentro gli occhi di chi ti vuole bene,
ascoltando bene le parole di chi ti vuole male per non dimenticarle,
tenendo la mano ad un amico che è andato via,
chiedendo aiuto ad un amico che c’è sempre quando serve,
accompagnato dalla vista del paesaggio che cambiava,
il suono e gli odori di tutte le città che ho visitato,
le storie ascoltate dentro lo scompartimento di un treno,
nuotando nel mare con lo sguardo rivolto alla riva,
con l’ansia del decollo e dell’atterraggio
la lenta tranquillità di un traghetto,
la paura di perdere,
la voglia di vincere,
la necessità di partecipare,
con uno zaino sulle spalle,
con i sandali ai piedi,
guidando la vespa verniciata di nuovo,
mettendo benzina nel Dyane 6 color cappuccino con il tettuccio aperto,
assaggiando cose nuove che sanno di scoperta,
ricercando il sapore delle cose antiche che sanno di memoria,
dentro un giardino con il prato verde,
con la tv spenta e la radio accesa,
portando al guinzaglio il mio cane,
cercando invano risposte alle mie tante domande,
facendo domande che non hanno mai avuto una risposta,
annusando la bellezza della verità,
fuggendo dall’ipocrisia della menzogna,
trovando la luce di due occhi scuri che ti dicono: ti stavo aspettando.
Si, è vero ho viaggiato molto,
e adesso devo ripartire.

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