#Alumni. #Dallamiafinestra. Melissa Marianelli: quel paesaggio “So che tutte le volte che sarò lontana da casa aspetterà il mio ritorno a braccia aperte”

“Sotto l’azzurro fitto/del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto: «più in là»”

Il più in là cantato da Eugenio Montale è un’attitudine al viaggio che si alimenta di esperienze, racconti, narrazioni. Anche se la nostra meta è il paesaggio che abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi. Perché, come scriveva Italo Calvino, “Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.”

Perché il viaggio non è distanza, ma bellezza, comunità, sostenibilità, occhi per guardare, parole per raccontarlo.

Il viaggio è una storia che esiste solo se la sappiamo raccontare.

Per questo abbiamo chiesto agli studenti che seguono l’insegnamento “Itinerari turistici e paesaggio come patrimonio culturale” del corso di laurea triennale in Scienze del Turismo tenuto da Enrica Lemmi, Direttrice dell’Accademia del Turismo di Fondazione Campus e professoressa ordinaria presso l’Università di Pisa, di descrivere e raccontare un viaggio aprendo semplicemente una finestra della loro casa. E abbiamo chiesto loro di descrivere il paesaggio che si vede da quella finestra come se fosse una meta turistica usando il linguaggio dello storytelling. Perché quello che i nostri occhi vedono da una finestra descrive il senso del vero viaggiatore. E quando abbiamo occhi per vedere e parole per raccontare quel viaggio diventa un’esperienza che merita sempre di essere raccontata.

Oggi apriamo la finestra di Melissa Marianelli

Sono una persona che ama osservare il cielo, i suoi abitanti e i suoi colori. Amo il cielo quando è felice, lo amo quando è triste e arrabbiato e anche quando è confuso. Il cielo mi emoziona e mi fa innamorare ogni volta come fosse la prima. Lo ammiro e lo fotografo, ma raramente lo faccio dalla finestra di camera mia. Non mi soffermo mai su quello scorcio di cielo, oppure lo faccio sì, ma solo di sfuggita per poi correre a vederlo meglio da qualche altra finestra di casa.

Quello che vedo dalla mia finestra è come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: la metà inferiore è riempita dal palazzo che sta di fronte al mio e la metà superiore è libera, non vuota. Libera dalla mano dell’uomo, c’è solo cielo. Quel piccolo pezzo di cielo che, nonostante io lo ignori mi osserva dal giorno che i miei genitori mi hanno portata a casa dall’ospedale appena nata.

Fino a qualche anno fa questo non era il mio paesaggio, era quello dei miei genitori perché prima questa era la loro camera da letto. Nonostante questo, io mi sono sempre trovata spesso qui dentro. Chissà quanto fosse annoiato il mio paesaggio nel sentirmi piangere durante i miei primi mesi di vita o forse provava tenerezza nel vedere i miei genitori che cercavano di calmarmi cullandomi tra le loro braccia. Più tardi si è poi divertito nel vedermi ballare e saltare sul letto dei miei, mi ha anche protetta nelle notti in cui gli incubi rubavano il posto ai miei sogni e scappavo sotto le coperte dei miei genitori.

Durante l’adolescenza questa camera è, poi, diventata la mia e quello che vedevo dalla finestra è diventato a tutti gli effetti il mio paesaggio. Forse non mi sono mai resa conto di quanto io dipenda da lui: dopotutto non inizio bene la giornata se non lo vedo. La sua luce e i suoi colori mi riempiono di energia e mi aiutano a vivere meglio la giornata. Allo stesso tempo quando è triste io sono demotivata e stanca e quando è arrabbiato invece mi spaventa anche se so che in realtà non vorrebbe.

Un momento che amo tra me e il mio paesaggio è l’ora d’oro, quando tutto diventa giusto e magico. I colori sono perfetti e il sole mi scalda il viso. Un momento di tranquillità e pace. Quel momento in cui tutto si ferma e diventa necessario osservare fuori e godersi l’aria fresca. L’ora d’oro è come un momento intimo tra me e qualcuno che mi conosce meglio di chiunque altro. Ci soffermiamo a riflettere insieme e i pensieri che mi invadono la mente sono tutti positivi perché guardando quel piccolo scorcio di cielo e la fine di quel palazzo, che è giallo proprio come il mio colore preferito, non posso pensare a qualcosa di negativo.

È possibile che agli occhi degli altri quello che vedo dalla mia finestra non sia niente di bello o entusiasmante, ma per me è tutto. Quel paesaggio sono io e la mia storia, io e il mio futuro. Quel piccolo, piccolissimo pezzo di mondo è tutto quello che mi è stato vicino quando nessun altro era presente, per sollevarmi, per farmi emozionare e per regalarmi serenità in momenti di caos. Gli sarò sempre grata di non avermi mai lasciata né giudicata e so che tutte quelle volte che sarò lontana da casa, lui aspetterà il mio ritorno a braccia aperte.

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